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Morire nell'indifferenza della gente

gen 29, 2022

Il fotografo svizzero Renè Robert si è sentito male e si è accasciato a terra a Parigi. Per ben nove ore nessuno gli ha prestato soccorso ed è morto per ipotermia nella più totale indifferenza. Notizie come queste destano sempre un certo stupore e una comprensibile indignazione. Ma come mai le persone, in alcune circostanze, fanno fatica ad intervenire?

Un precedente inquientante studiato dalla psicologia sociale

Il New York Time riportò un fatto di cronaca inquietante , per 30 minuti decine e decine di persone rimasero ad osservare indifferenti un’aggressione a una donna conclusa con un tragico omicidio. L’atroce delitto avvenne in un luogo pubblico cosa che ovviamente destò un comprensibile sconcerto. L’aggressore aveva inseguito la vittima per ben tre volte e nessuno dei presenti era intervenuto in suo soccorso o aveva chiamato il 911. Questo fatto di cronaca pensate che risale al lontano marzo del 1964. Se il mancato intervento dei testimoni fu dovuto alla scarsa empatia o sensibilità è quindi legittimo pensare che siamo sempre vissuti in una società “fredda” e “distaccata”. Oppure esiste un’altra spiegazione per comprendere l’indifferenza che spesso le persone adottano in certe situazioni?

L'indifferenza è l’unica causa?

I media, come potrete ben immaginare, diventarono il luogo principale dove esperti, giornalisti ma anche persone comuni si confrontarono nel tentativo di individuare delle spiegazioni plausibili in grado di spiegare quanto accaduto alla povera Catrhine Genovese. In modo unanime la conclusione fu che la società era diventata “fredda”, impersonale, apatica e indifferente verso gli altri. In fondo queste considerazioni altro non sono che le stesse argomentazioni che sentiamo oggi quando accadono dei fatti di cronaca cosi efferati.


Lo stesso Rosenthal, il giornalista che curò l’articolo del New York Times, scrisse un libro incentrato proprio sull’idea stereotipata della metropoli fredda e impersonale. Il cosiddetto caso Genovese destò inevitabilmente l’attenzione anche di due psicologi Bibb Latané e John Darley che riuscirono a modificare radicalmente la visione delle cose. E' possibile che ci siano stati dei testimoni e che questi abbiano cercato di intervenire in qualche modo.


Ma questa parte è stata esclusa dalla narrazione giornalistica per amplificare l'impatto della notizia. In generale i gruppi hanno meno probabilità di intervenire in soccorso di qualcuno rispetto a un individuo isolato e questo dato è stato confermato anche da successive ricerche. 

Perché nessuno aveva soccorso la vittima?

Secondo i due psicologi proprio la presenza di troppe persone aveva influenzato negativamente la dinamica sociale. Nessuno era intervenuto in soccorso della ragazza perché c’erano 38 testimoni oculari. Vediamo di approfondire questa spiegazione evidentemente contro-intuitiva ma che ci permette di mettere a fuoco un aspetto importante del comportamento sociale e che può diventare utile in “senso preventivo” . In tutte le situazioni incerte e destrutturate tendiamo ad osservare gli altri per decidere quale sia il comportamento più adeguato da tenere in base al contesto in cui ci troviamo.

Quali fattori influenzano il comportamento?

Davanti ad un fatto imprevisto la responsabilità personale viene distribuita tra i presenti (tutti rimangono in attesa che intervenga un’altra persona o pensano che qualcuno si sia già attivato ad esempio chiamando le forze dell’ordine). Inoltre il cosiddetto “principio della riprova sociale” influenza la capacità di comprendere che cosa stia accadendo in una situazione di emergenza. Per esempio la persona sul treno si è solo addormentata o sta male? La devo svegliare perché deve scendere la prossima fermata o rischio di disturbarla? Il rumore che proviene dall’alloggio vicino è un’aggressione, un aspro litigio o solo la televisione ad alto volume?

Nei momenti di
incertezza tutti noi cerchiamo delle informazioni osservando il comportamento degli altri. Nei contesti sociali le interazioni tra persone sconosciute sono molto brevi, altro aspetto che riduce la probabilità di un intervento concreto e che incrementa la distorsione di quanto osservato. Pensateci un attimo. Quante volte avete chiamato la polizia o i vigili del fuoco? Quel fumo che state intravedendo è solo un barbecue o un incendio che si sta propagando? Quei rumori che sentite in strada sono dei ragazzi che scherzano dopo una festa o si tratta di una vera e propria aggressione?

Siamo davvero più al sicuro nei luoghi affollati?

Nel senso comune stare in mezzo a tanta gente è sinonimo di sicurezza contro le aggressioni personali come ad esempio una rapina. Ma è veramente così? Le persone intervengono più facilmente in nostro aiuto in un luogo affollato? Per rispondere a queste domande venne creato un semplice quanto efficace disegno sperimentale. Si pensò di simulare una condizione di emergenza in un luogo pubblico per osservare le modalità e i tempi di reazione da parte dei passanti. Un “attore” (in accordo con i ricercatori) fingeva una crisi epilettica in strada e contemporaneamente veniva misurato il numero delle volte che spontaneamente le persone intervenivano in suo soccorso. Il risultato fu altrettanto chiaro: l’85% interveniva quando si trovava da solo mentre solo il 31% interveniva quando erano presenti altre cinque persone.
In un altro esperimento si pensò di far filtrare del fumo da sotto una porta per osservare le reazioni delle persone. I risultati furono nuovamente interessanti il 75% dei passanti singoli dava l’allarme mentre il dato crollava quando le persone erano almeno tre (38%). La percentuale poi si riduceva ulteriormente se tra le persone c’erano dei complici del ricercatore che passavano facendo finta di nulla (10%). Questi dati confermano che la “ riprova sociale ” è uno dei meccanismi alla base del mancato intervento da parte delle persone soprattutto quando si trovano in gruppo.

Come comportarsi in caso di necessità?

Un problema di salute improvviso, un’aggressione o il cadere per terra per non aver visto un ostacolo sono tutti eventi che ci potrebbero accadere in un contesto pubblico. Cosa fare allora per richiamare l’attenzione di qualcuno ed evitare che scatti la dinamica della “riprova sociale”? Secondo Rober Cialdini la cosa più importante da fare è quella di chiedere direttamente a una persona specifica nella folla piuttosto che rivolgere una richiesta di aiuto generico a tutti .

Ad esempio dire “Tu con la giacca blu chiama subito la polizia e dammi una mano” e più efficace che chiedere un “Aiuto” generico a tutti.

E’ importante
assegnare il ruolo di “soccorritore” a qualcuno di specifico e questa strategia è sostenuta anche da diverse ricerche che ne comprovano l’efficacia. Bisogna ridurre l’incertezza nelle persone presenti e conoscere i meccanismi sociali che possono emergere tra le persone soprattutto quando si tratta di un gruppo di sconosciuti.

In sintesi

La società attuale presenta sicuramente diverse disfunzioni e problemi valoriali, ma come abbiamo visto in molte situazioni la spiegazione di certi fenomeni è molto più complessa e contro-intuitiva. Le persone “soccorrono” gli altri appena si rendono conto di cosa sta accadendo e se riescono a decodificare il contesto. Secondo gli autori esistono anche altri fattori che possono spiegare in modo più approfondito questo comportamento distaccato e freddo. Nelle grosse città il livello di “rumore”, di stimoli, di distrazioni è molto elevato; inoltre la presenza di tante persone sconosciute , come abbiamo visto, è uno dei fattori che facilitano l’emergere del meccanismo della riprova sociale rispetto ai piccoli centri. Quindi non si tratta tanto di questioni valoriali o di scarsa empatia quanto di sottili meccanismi psicologi e sociali.

Dott.Igor Graziato

Psicologo del Lavoro e delle organizzazioni

Specialista in Psicoterapia

Esperto di VRT (Virtual Reality Therapy)

Master in Cognitive Behavioural Hypnotherapy

Ipnosi Clinica Evidence Based

Membro dell'American Psychological Association

Past Vice President Ordine degli Psicologi del Piemonte

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